Di GIOVANNA ZAPPERI

Ho conosciuto Toni attorno al 2005 a Parigi. In quel periodo, fresca di dottorato, mi ero ritrovata non so più bene come nel comitato di redazione della rivista Multitudes, dove c’era anche Judith Revel, che per ragioni famigliari conoscevo sin da bambina. E in effetti mi è impossibile pensare a Toni senza pensare a lei, con cui ha vissuto per quasi trent’anni. “Judith e Toni” (da pronunciare “judìtettòni”) è stata per me quasi una formula magica, capace di materializzare chiacchere e risate, discussioni infinite su politica, arte e filosofia, ma anche cene, viaggi, vacanze. E soprattutto una porta sempre aperta, anche nei casini, nelle contraddizioni e nelle separazioni. Dunque, quando ho incontrato Toni per la prima volta in realtà lo conoscevo già. Non solo come filosofo e uomo politico – ovvio – ma come quella persona di cui ci parlava Judith, che lo aveva conosciuto mi pare nei primi anni Novanta. La ascoltavo affascinata raccontarci di questa persona che sembrava davvero fuori dal comune e di cui forse si stava già innamorando. Ricordo in particolare una volta che mio padre, con un colpo di scena, andò a prendere la sua copia vintage de Il Dominio e il Sabotaggio per darla a lei, imbarazzata e divertita. Io, che non ne sapevo niente, rimasi sbalordita da quel titolo e da quell’opuscolo che era sfuggito alle mie numerose incursioni nella biblioteca di casa.

Quando ho cominciato a frequentarli insieme, abitavano tra Parigi e Venezia, dove andavo volentieri a trovarli, non da ultimo per vedere la Biennale. A Toni l’arte contemporanea non interessava molto – e come dargli torto – e anche se è capitato di fare un giro assieme in Biennale, la sua era una passeggiata distratta, a tratti divertita. Guardava con distacco al divenire dell’arte, nei suoi rituali spesso superficiali e nel suo essere al contempo “merce e attività”. Pur non interessandosi troppo alle forme più attuali dell’opera d’arte, Toni aveva però colto un aspetto centrale della produzione artistica contemporanea, in quanto terreno di sperimentazione di “mondi diversi”, come scriveva nel suo Arte e Multitudo. In questo libretto, scritto quasi per divertimento, ma con la profondità teorica che gli era congeniale, Toni rilevava il modo in cui l’arte non è da considerarsi come sfera separata rispetto ai processi produttivi, ma come qualcosa che si pone sempre all’interno della “storicità dell’essere insieme”. Per chi come lui aveva fondato la propria prassi politica sulla condivisione e sulla dimensione collettiva, non poteva esserci alcuna simpatia per l’artista come figura della singolarità, ancor meno per il “grande artista”, retaggio patriarcale dagli effetti mortiferi. 

Tuttavia, forse proprio per questa distanza nei confronti del mondo dell’arte, penso che Toni non abbia mai preso troppo sul serio l’importanza che hanno avuto le sue riflessioni nella sfera artistica. I numerosi inviti a intervenire nell’ambito di mostre, musei o eventi artistici, come anche il fatto che diverse artiste e artisti si siano confrontati direttamente con il suo pensiero e la sua vicenda politica (penso a Rossella Biscotti, Angela Melitopoulos o Oliver Ressler, per citarne alcuni) attestano di un dialogo costante tra due mondi che non era poi così scontato si incontrassero. Mi sembra che gli scritti di Toni, ben al di là dei suoi sporadici interventi sull’arte, rappresentino infatti un’inesauribile fonte di idee e di metodi per pensare quei “mondi diversi”, quelle forme di vita inedite e impreviste che proprio l’arte è chiamata a immaginare e a sperimentare.

Adesso che Toni è morto, rileggo con commozione le ultime pagine della sua autobiografia in cui riflette sulla fenomenologia del presente proprio a partire da questo desiderio inesauribile per un mondo intessuto nel comune, nelle relazioni, nella gioia della vita. Non avevo colto tutta la portata di queste riflessioni al momento della pubblicazione, che mi colpiscono per il modo in cui risuonano negli eventi catastrofici delle ultime settimane. Non dobbiamo avere paura, scrive Toni, perché siamo dalla parte della vita e la paura ci rende asserviti alla logica fascista della guerra. In questo momento di smarrimento di fronte alla violenza del mondo, questo rimane per me il lascito più importante di Toni, che per me è tanto politico quanto esistenziale.

Ciao Toni. Ci manchi già, ma continui a vivere nei nostri pensieri e nelle nostre lotte.

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