La connotazione di questo sciopero globale assume in Spagna dei caratteri peculiari, legati a doppio filo con il ciclo politico aperto dal 15M. Ma è proprio questa capacità di declinarsi al meglio nei diversi contesti territoriali a fare oggi, del movimento femminista internazionale, la principale “piattaforma” di resistenza alle nuove destre e di immaginazione di una differente politica e società futura – EN
La prima impressione sull’8 Marzo è che sì, lo abbiamo fatto di nuovo. Venivamo da un tempo in cui sembrava fossero i nuovi partiti a guidare la protesta sociale e la voglia di cambiamento, ma l’illusione è finita. Le mobilitazioni si stanno svegliando lentamente: le proteste sul lavoro, i pensionati agguerriti, il femminismo che arriva come uno tsunami.
Stiamo vivendo un vero 15M femminista, un’altra volta la sensazione di apprendere nel cammino; di crescere in modi inaspettati – piccole alleanze transitorie, ad esempio con le presentatrici dei programmi mattutini; di balbettare un linguaggio nuovo, di una protesta che ha un filo storico da riprendere. La rappresentazione intergenerazionale nel movimento unisce la ricca tradizione femminista delle più anziane – provenienti da un movimento che si istituzionalizzò in gran parte dopo la Transizione, contribuendo a dissolvere le mobilitazioni – e la vincolano con la generazione intermedia, formata dalle molte donne che si sono politicizzate nel 15M e che forniscono linguaggi rinnovati e un uso intenso ed originale delle reti, per esprimersi ed organizzarsi politicamente.
Ciò che più colpisce è vedere le più giovani, le adolescenti che ancora di più “respirano” nei nuovi media e donano un’energia straripante, con una esperienza del femminismo che sembra “fabbricata” e che, sospettiamo, viene da una consapevolezza svegliata a colpi di femminicidi e di un sistema giudiziario e mediatico che molto spesso umilia le donne violate. La campagna #YoTambién ne è stata una tappa importante, il processo alla “Manada” per lo stupro di gruppo – quello di “sorella, io ti credo” – un’altra.
Di tutto questo risveglio femminista stiamo adesso raccogliendo i frutti. A cominciare dalla percezione – più intensa nelle giovani, secondo i sondaggi – delle violenze quotidiana (o “micromachismi”), si sta articolando una narrazione che riesce a svelare il sistema costruito sulla disuguaglianza delle donne – e delle migranti in particolare. Questa è oggi la grande vittoria del femminismo.
#LasPeriodistasParamos (“Le giornaliste si fermano/scioperano)
Le giornaliste hanno evidenziato la penetrazione sociale di questa nuova coscienza sociale maggioritaria – l’82% delle spagnole e degli spagnoli riconosceva le ragioni dello sciopero, secondo Metroscopia. La loro posizione è stata centrale per estendere la protesta e per far si che, questa volta, i media capiscano qualcosa – e in tempo – di ciò che sta accadendo, diversamente da quel che accadde durante il 15M.
Il modo di organizzarci come giornaliste attraverso un gruppo Telegram, l’uso delle reti, l’orizzontalità e tanti altri dettagli appresi durante il 15M sono serviti a questo proposito. Le conseguenze le abbiamo viste: quando il mondo del giornalismo è abbracciato – finalmente – da una protesta, la protesta emerge ed è narrata dall’interno senza la solita pretesa distanza. Questo ha costituito un vero trionfo. La maggior parte dei media hanno parlato di femminismo e non di “Giornata della Donna”, tranne quelli che ancora si aggrappano con nostalgia al regime del ’78, di cui furono portavoce, ma che ora si dimostrano incapaci di avere il polso della società. Ma la marea li ha inondati.
Ha inondato anche i sindacati ufficiali, oscillanti tra l’appropriazione della protesta e la totale incomprensione. Anche il governo ha dovuto modificare la propria postura, dalla chiara ostilità a una posizione che permetta di non farsi travolgere dall’onda di legittimità ottenuta dal movimento. Persino Rajoy ha mostrato una cravatta viola, che, ricordiamo, è il colore del femminismo e non del Giorno della Donna.
Nei giorni passati potevamo percepire il conflitto tra PP e Ciudadanos per contendersi lo spazio politico della destra. Il PP tirava molto la corda della sua distanza dalla convocazione dell’8M per apparire come l’autentico rappresentante dei conservatori, dato che Ciudadanos lo batte nella durezza sul tema catalano. Ma Ciudadanos, che ha una composizione più giovane, tanto nella struttura come nei votanti, ha capito meglio cosa stava accadendo. La rinnovazione della destra sembra che passerà anche dal chiamarsi “femminista”, per quanto sia il femminismo dell’1%.
La partita è aperta, tra la pluralità che rappresenta il movimento – nel quale però le rivendicazioni principali vanno ben oltre il tetto di cristallo – ed il femminismo liberale di Ciudadanos. Ci saranno nuovi attacchi, ma la potenza di porre la riproduzione sociale al centro delle rivendicazioni, come nello sciopero dalla cura, può rendere molto difficile il lavoro di Arrimadas e compagne. Vogliono o no più asili nido, più case di cura, stessi permessi, diritti sociali e minor precarietà che ci permetta di decidere se avere dei figli o meno, ed in ogni caso poterlo fare in condizioni adeguate? La loro scommessa sul contratto unico e la riduzione delle tasse sembra indicare il contrario.
L’8M, questa eruzione “quincemayista”, plurale, allegra, ha ottenuto un affrancamento, almeno momentaneo – vedremo se permanente – della svolta a destra nella società a cui sembrava condurci il conflitto in Catalogna e di cui si stava così ben avvantaggiando Ciudadanos. La preoccupazione per la questione catalana stava già diminuendo – retrocede negli ultimi sondaggi del CIS al 20% -, e l’emergere di nuove potenze movimentiste e nuove proteste che occupano l’arena pubblica obbliga a modificare l’agenda.
Quando il conflitto nazionale si affievolisce, tornano ad emergere le preoccupazioni sociali – la disoccupazione, la situazione economica, la sanità -, e la crisi del regime che credevamo sepolta. Nell’ultimo sondaggio CIS, più del 92,8% considera tra negativa e pessima la situazione politica del paese.
La buona notizia è che la crisi – latente, non superata nonostante l’apparente ricomposizione in termini istituzionali – non sta portando alla crescita dell’estrema destra. Qualcosa a cui sembravano puntare le risposte alla sfida indipendentista. E non ci saranno crescite dell’estrema destra finché si generano eccedenze “quincemayiste” come quelle dell’8M. A partire da questo, tutte le sfide che solleva il rinato movimento femminista appaiono delle opportunità, mai degli ostacoli.
(pubblicato da El Salto – tr. it. di Alberto Manconi)