di BEPPE CACCIA. Esattamente due anni fa, le elezioni amministrative nello Stato spagnolo restituivano un risultato insperato, nelle proporzioni e nei suoi effetti politici: le liste delle «piattaforme civiche» conquistavano le principali città, eleggendo i sindaci di Madrid, Barcelona e di tanti altri centri minori. E questa sera, nella metropoli catalana guidata da Ada Colau, prende avvio il meeting internazionale Fearless Cities («Città senza paura») promosso da Barcelona en Comú. Lanciato in poche settimane, vedrà la presenza di oltre seicento partecipanti accreditati, provenienti da oltre 180 città di 40 differenti Paesi.

Si tratta, a tutti gli effetti, della prima occasione d’incontro per quelle iniziative che hanno individuato nella democrazia e nell’autogoverno locale il terreno privilegiato. Per i promotori il dato di partenza è che «in tutto il mondo, un numero crescente di città grandi e piccole si schiera nella difesa dei diritti umani, della democrazia e dei beni comuni». L’obiettivo del meeting è quello di «consentire ai movimenti comunali di costruire reti globali di solidarietà e speranza di fronte all’odio, ai confini e ai vecchie e nuovi muri» che li perimetrano.

Numeri assai significativi e ricca articolazione di plenarie e workshop tematici, con attivisti, sindaci e consiglieri da tutto il mondo (programma completo: www.fearlesscities.com) rivelano un fenomeno in espansione, che da più parti viene ormai definito come «nuovo municipalismo». Fenomeno che prende le mosse proprio dai risultati elettorali spagnoli del maggio 2015. Ma che sarebbe, a sua volta, incomprensibile senza il ciclo storico apertosi con l’occupazione delle piazze del 15M 2011, i movimenti di massa che da allora hanno, in susseguenti ondate, fatto irruzione sulla scena sociale spagnola, e infine le diverse sperimentazioni politiche che, in tale contesto, si sono sviluppate.

Sono fattori che continuano a rendere il «laboratorio iberico» oggetto di straordinaria attenzione (e verrebbe da dire, di desiderio) per la verifica di pratiche adeguate a declinare, efficacemente, il tema del cambiamento sociale di fronte ai drammi e alle contraddizioni del presente. Anche perché esse rinviano, nella maggior parte dei casi, a condizioni di partenza comuni ad altri contesti, europei e globali.

La forza, simbolica e materiale, di molte tra le esperienze che si confronteranno nei prossimi tre giorni a Barcellona, risiede innanzitutto nella capacità di misurarsi con le trasformazioni strutturali che hanno investito le città nell’epoca della finanziarizzazione dell’economia. E con l’impatto che le politiche di austerity hanno determinato sulle aree urbane nella recente gestione europea della crisi.

La metropoli contemporanea è divenuta lo spazio per eccellenza della produzione e della riproduzione sociale; lo spazio attraversato e connesso dai corridoi logistici e investito dalla creazione di piattaforme estrattive; il luogo in cui, più di ogni altro, vengono esercitate le attuali forme dello sfruttamento; il terreno ideale di applicazione per la logica parassitaria del capitalismo finanziario: là dove si dispiega la sua aggressione permanente, attraverso i meccanismi dell’indebitamento individuale e collettivo, della speculazione immobiliare e della rendita mobiliare, alla ricchezza socialmente prodotta.

Al tempo stesso, le nostre città sono lo spazio dove si affermano forme di vita comune, libere e tendenzialmente egualitarie; il luogo in cui esplodono nuovi conflitti sociali, proliferano forme di cooperazione mutualistica, iniziative culturali e produttive indipendenti. Ciò conferisce – ed è ormai la realtà quotidiana a ricordarcelo, insieme al contributo di pensatori che vanno dal geografo David Harvey al filosofo della politica Joan Subirats, da Toni Negri all’urbanista statunitense Neil Brenner – alla metropoli contemporanea il ruolo di un campo di battaglia permanente, di tensione tra forze che si misurano reciprocamente sul terreno dei rapporti di potere reali.

Proprio su questa magmatica linea di frattura sono andate a collocarsi – non senza esprimere una straordinaria capacità d’innovazione nei linguaggi e nelle forme dell’azione, a partire dal nodo cruciale della «femminilizzazione della politica» – le realtà municipaliste nate dalla «confluenza» della soggettività emersa dall’ultimo ciclo dei movimenti sociali con forze politiche della sinistra, antiche e nuove, pronte a riconoscere il primato del «protagonismo cittadino».

Nei prossimi tre giorni queste esperienze verificheranno, nello scambio reciproco, successi e sconfitte, limiti e potenzialità proiettando su uno scenario globale, segnato dall’uso politico della «paura», la propria sfida: quella che, con i piedi ben piantati nella dimensione locale, prova con coraggio a reinventare una prassi democratica capace di intervenire sulle grandi questioni del nostro tempo, dal cambiamento climatico alle migrazioni, alla giustizia sociale e redistributiva.

questo testo è stato pubblicato sul manifesto il 9 giugno 2017

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