Pubblichiamo il primo capitolo del Piano B per Taranto1, un piano di riconversione redatto collettivamente che indica le ragioni per liberare la città dal mostruoso servaggio dell’ILVA. Il testo integrale può essere scaricato in pdf ⇒ qui (⇒ qui la versione sintetica). I firmatari del documento sono (in ordine alfabetico): Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, FLMUniti – CUB, Giustizia per Taranto, Tamburi Combattenti, Taranto Respira, TuttaMiaLaCittà, singole e singoli cittadine/i.
Scrivere collettivamente un Piano di riconversione per Taranto che preveda nei confronti delle istituzioni locali e nazionali la sottoscrizione di precisi e cadenzati impegni fra le parti mediante strumenti normativi quali quello amministrativo dell’Accordo di Programma, al fine di tracciare un futuro economico e sociale diverso per Taranto: è questo l’obiettivo che come associazioni, movimenti, operai, comitati, sindacati di base e singole persone abbiamo deciso di darci a fronte dell’emergenza sanitaria, ambientale, sociale, democratica ed economica che continua a perdurare nel territorio jonico.
Crediamo sia arrivato il momento di mettere insieme tutte le intelligenze che hanno a cuore il presente e il futuro della città di Taranto, consapevoli del fatto che soltanto un processo di attivazione dal basso, ampio e partecipato, che parta dal locale ma che coinvolga tutto il Paese e non solo, possa permettere di riappropriarci di un destino che altri pensano di aver già scritto per la nostra martoriata terra, e che non possiamo più delegare a nessuno.
In un momento così cruciale per la nostra comunità, decidiamo di coalizzarci e di mobilitarci attorno a questo obiettivo per dimostrare a qualsiasi controparte che una alternativa è possibile, a partire da Taranto ma per tutte quelle zone che vivono sulla propria pelle le nostre stesse contraddizioni.
Con l’avvento industriale nel nostro territorio a partire da fine 1800, qualcuno ha pensato di illudere le precedenti generazioni tramite un modello economico-democratico falso e scellerato, basato sui miti dell’interesse nazionale e dell’interesse privato, del presunto sviluppo e del ricatto salariale, del gigantismo fordista e della supremazia del PIL, trasformando la nostra città e la provincia tutta a una intera area di conquista.
Nel corso di più di un secolo e mezzo la nostra terra è stata vittima di una vera e propria aggressione industriale mascherata da opportunità, con pezzi di città sottratta a chi la abita e destinata a basi militari, cantieri navali, raffinerie, discariche, inceneritori, cementifici e allo stabilimento siderurgico ILVA, il più grande d’Europa e grande due volte e mezzo la città, l’emblema delle cattedrali nel deserto programmate per il mezzogiorno italiano dall’IRI a metà novecento, che altro non ha fatto se non contribuire in maniera determinante all’attuale desertificazione economica e crisi occupazionale.
Nonostante Taranto sia passata nell’arco di tutto questo tempo da circa 30 mila ad oltre 200 mila abitanti, vivendo l’illusione di una ricchezza temporanea fatta di espansione edilizia e cementificazione selvaggia, ci risvegliamo oggi nel luogo tra i più inquinati d’Europa, i cui danni sanitari diretti ed indiretti sono all’ordine del giorno, costretti a fare viaggi della speranza per curarci, a non poter più fare il bagno nel nostro mare, far giocare le bambine e i bambini nelle aiuole del quartiere Tamburi e mandarli a scuola nei giorni di vento perché ricoperti da minerale di ferro, diventare genitori a causa dell’infertilità, dare lavoro a mitilicoltori ed allevatori. Abbiamo un numero di disoccupati e inoccupati maggiore di chi ha un posto di lavoro, in una città che si va spopolando giorno dopo giorno e da cui le nuove generazioni scappano per formarsi e trovare fortuna altrove, che non ha saputo fare tesoro delle sue peculiarità territoriali, paesaggistiche e storiche.
Crediamo fortemente che lo spartiacque con la storia si sia fortunatamente materializzato agli occhi dell’opinione pubblica locale e nazionale nel Luglio del 2012 tramite l’inchiesta Ambiente Svenduto, che ha finalmente smascherato la ragnatela generalizzata di poteri e clientele legata allo stabilimento siderurgico ILVA e che pensava di immolare le nostre vite sull’altare del profitto di pochi a danno dei diritti di tutte e tutti noi.
Da quella data storica per la nostra città ci aspettavamo che l’intera classe politica e le istituzioni tutte provassero a rimediare almeno agli ultimi cinquant’anni di scelte scellerate, seguendo i dettami della magistratura per rimediare ai danni sanitari e ambientali provocati nei confronti di chi vive dentro e fuori la fabbrica: fermare l’azione criminogena degli impianti del siderurgico, bonificare e riconvertire l’area.
Stato e privato, se davvero avessero voluto rendere la fabbrica quanto più possibile compatibile con l’ambiente e la vita, avrebbero dovuto investire gli 8,1 miliardi di euro stimati nelle perizie2, oltre che assumersi l’onere di risarcire il territorio. In realtà le stesse evidenze riportate da Arpa Puglia, AReS e ASL Taranto3, hanno evidenziato ciò che in vero sapevamo da tempo: la presenza del più grande siderurgico d’Europa è del tutto incompatibile con la vita umana, pur in adozione di tutte le prescrizioni normative previste. Figurarsi se in presenza di altri colossi industriali inquinanti come nel caso di Taranto. In ragione di ciò si sarebbe dovuta prevedere la cessazione della fabbrica e la programmazione di una transizione economico-sociale sostenibile.
E invece no, a suon di decreti legge si è neutralizzata l’azione della Procura garantendo la facoltà d’uso e la continuità produttiva degli impianti, si è rilasciata una Autorizzazione Integrata Ambientale insufficiente e continuamente derogata nel tempo, si è affidata di volta in volta la gestione aziendale a commissari che hanno abbandonato la nave, riempiendola di debiti e occupandosi solo di rimborsare le banche creditrici, fino ad arrivare all’attuale tentativo di svendita definitiva a nuovi privati. Un classico esempio di socializzazione dei costi e privatizzazione dei profitti.
Sappiamo che la sfida che ci attende non è facile e che tante sono le variabili avverse, in un territorio inquinato anche a livello morale, sociale e culturale, in cui il ricatto occupazionale fa ancora comodo, nel tempo della precarietà e del neoliberismo, a chi vuole controllare le vite e gli interessi della nostra comunità, che sia la criminalità organizzata come le grandi lobby.
Ma è dalle grandi sfide che partono i grandi cambiamenti, è occasione per tutte e tutti noi trasformare questa grande crisi in opportunità. Ragionando su un modello nuovo radicalmente alternativo, democratico, con gli interessi delle comunità al centro, dove poter ragionare su un lavoro di qualità, di buona occupazione e sul cosa, come, quanto e per chi produrre. Di fronte all’evidenza delle trasformazioni tecnologiche in corso.
Mettendo la supremazia del diritto alla vita al di sopra di ogni cosa. Contro ogni ipotesi negazionista.
I processi di riconversione economica, ecologica e sociale attuati altrove sono il faro che illumina il nostro cammino, consci del fatto che non esiste una ricetta univoca per ogni territorio.
Taranto è l’emblema di un modello che ha fallito, quello legato al ciclo del carbone e dei combustibili fossili che tanti danni ha fatto al nostro Pianeta, che lo sta mettendo a rischio con il dramma dei cambiamenti climatici in corso.
Un modello ingiusto e diseguale da fermare ad ogni costo.
La definizione di “Piano B” per Taranto fu data per la prima volta dall’associazione Peacelink, la quale col documento linkato ⇒ qui, ha portato un importante contributo alla discussione riguardante il salvataggio dell’Ilva e le opportunità di un piano per la riconversione del territorio. Il presente lavoro può definirsi la sua naturale prosecuzione. ↩
La relazione stilata dai custodi giudiziari, ingg. Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento, commissionata dalla Magistratura tarantina nell’ambito del processo “Ambiente Svenduto” ai danni di 53 imputati fra persone giuridiche e fisiche riconducibili all’inquinamento prodotto da Ilva, fa riferimento alla cifra necessaria a rendere quanto più sostenibile possibile la produzione industriale mediante interventi circostanziati sugli impianti. L’ing. Valenzano ha anche prodotto un articolo pubblicato sulla rivista internazionale “The Lancet” [qui] in cui ha espresso la posizione della Regione Puglia su Ilva. ↩
Qui i rapporti sulla Valutazione del Danno Sanitario redatti dai tre istituti, e qui un articolo di Inchiostroverde.it del 4 aprile 2015 a firma di Gianmario Leone. ↩