Di FRANCESCO FESTA.

«Il grattacielo aveva creato una nuova tipologia sociale, un genere di abitante che si accontentava di restare seduto nel suo carissimo appartamento a guardare la televisione senza audio, aspettando che suoi vicini scivolassero sul decoro». Ballard, ne Il Condominio, metaforizza sulla regressione allo stato di natura del vicinato offrendo uno scorcio della società contemporanea. Gli fa eco Wolf Bukowski in La buona educazione degli oppressi. Piccola storia del decoro (Alegre, pp. 159, euro 14). Guest blogger del sito dei Wu Ming, Giap, da attento indagatore del sottobosco delle narrazioni tossiche – di come avvelenino le relazioni sociali – decostruisce due concetti chiave, quali «decoro» e «sicurezza», che nel lessico pop del neoliberismo sono ormai indispensabili per puntare al sold out elettorale.

TRAMITE una bibliografia accurata, Bukowski ripercorre un oggetto del mainstream bipartisan degli anni novanta: la broken windows theory, paradigma della teoria della devianza della Scuola di Chicago e ispiratrice della tolleranza zero del sindaco Giuliani a New York nei confronti delle trasgressioni minori. La sua applicazione all’inizio produsse un’immediata contrazione del numero di crimini, anche gravi, e folgorò la sinistra italiana che inviò i suoi sindaci in pellegrinaggio alla Grande mela per studiarne l’applicazione. Col tempo i dati aggregati e congiunturali del tasso di criminalità smentirono tanto la repressione tout-court quanto la teoria, quando ormai però il veleno era stato iniettato in un’intera classe dirigente di sinistra, per cui decoro e sicurezza sarebbero diventati un binomio indissolubile per la tolleranza zero nelle politiche urbane.

ARATO IL CAMPO è stato facile seminare altri cliché tossici: l’immigrazione che genera insicurezza; la povertà e il bivacco che deturpano le città; la creatività non autorizzata come deriva sociale. Il decoro è il nuovo verbo della politica urbana. Sull’altare del decoro la sinistra ha perso ogni punto di vista sulla società, ha smarrito «ogni residuo riferimento di classe».
Cofferati a Bologna e Dominici a Firenze dichiaravano guerra ai lavavetri e alle piccole forme di accattonaggio; poi giungevano le ordinanze contro i bivacchi, le birre bevute per strada e la demonizzazione dei modi più quotidiani di socializzare. Con gli anni Zero, le televisioni mandavano in scena orribili crimini, preferibilmente commessi da migranti, e cresceva la paranoia securitaria, ma i dati in realtà dicevano tutt’altro: i numeri dei reati erano sensibilmente in discesa. Un po’ come accade oggi. La Lega intanto incominciava a cresceva su quel rigido scenario di decoro urbano e nelle amministrazioni comunali.

GIÀ ERAVAMO IMMERSI in un «salvinismo ante litteram». In realtà – per Bukowski – è «il salvinismo a essere un cofferatismo maturo» o un minnitismo maturo. Il decoro è lo specchio della sinistra istituzionale, dove si riflette la sua identità vinta. Senza analisi di classe, inseguendo la destra sul piano inclinato di decoro-sicurezza-legaritarismo, la sconfitta non sarà che certa.
La buona educazione degli oppressi perlustra inoltre l’abisso che s’annida nei dispositivi di governo della under class e come monito della middle class. La regola è «state buoni e non alzate la voce altrimenti diventerete come quella gente sporca e riottosa». Il motivo è che causa della povertà è il povero stesso. Senza solidarietà di classe che tenga più, sottoposti all’individualismo dominante e alla rabbia populistica, si genera così humus inquinato dal neoliberismo dove prolifera il microcosmo elettorale cui attingono sia il Pd che la Lega e i 5Stelle.
È un taccuino di viaggio indispensabile. Un libro che ci mette in guardia dalla rassegnazione e stimola a lottare contro i paradossi della città orwelliana. La città non più solidale, ma inquadrata in una civicness di decoro e sicurezza, come il caso fra i tanti in esso citati, in cui un vicino denuncia un concittadino sulla cinquantina con difficoltà economiche e disagio psichico per un «furto dai cassonetti». «Rassegnarsi, rinunciare a tenere il punto – esorta Bukowski – significa alimentare e perfezionare quel There is No Alternative su cui il capitalismo fonda il suo impero».

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 26 giugno 2019.

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