Di BRUNO MONTESANO

Il neoliberismo è una restaurazione del potere di classe, una pratica di governo e una ideologia, scrive Quinn Slobodian in Globalists. La fine dell’impero e la nascita del neoliberalismo (Meltemi 2021, 510 pp., traduzione di Jacopo Foggi). Il pregio di questo volume è quello di mettere al centro, in linea con gli studi di Michel Foucault e Stuart Hall, la dimensione giuridico-istituzionale e sociale del progetto neoliberale.

 Nato come utopia anti-socialista di un gruppo di economisti e giuristi tra Vienna e Ginevra dopo la fine dell’impero austro-ungarico, il neoliberalismo si afferma come reazione al keynesismo e alla decolonizzazione. Nel secondo dopoguerra, gli intellettuali neoliberali della Scuola di Ginevra lottarono, senza successo, contro gli elementi di “socialismo” presenti nelle istituzioni globali delle Nazioni Unite e di Bretton Woods. Solo successivamente, in seguito all’esplosione delle contraddizioni del paradigma socialdemocratico e sviluppista, queste istituzioni vennero ripensate, secondo la dottrina del Washington Consensus.

 Per difendere la proprietà privata dalle pressioni delle masse – prima inquadrate in forme totalitarie e poi democratiche e postcoloniali – bisognava difendersi dall’ondata di democratizzazione che portava con sé la pretesa di poter modificare l’economia. Al contrario, la garanzia giuridica dell’ordine del mercato permetteva di depoliticizzare la sfera economica. In generale, si doveva aspirare a un diritto globale, non ad un governo. A tal fine servivano istituzioni globali e nazionali che permettessero di disciplinare la società (in particolare non occidentale) e difendere il mercato – ad esempio dagli espropri negli stati decolonizzati. Anche se il movimento si sviluppò in parte in reazione ai totalitarismi novecenteschi, la loro preoccupazione principale fu quella di garantire la divisione internazionale del lavoro e difendere i mercati – intralciati allora da due guerre mondiali e dalla fine degli imperi.

 Mentre si affermavano i diritti umani, alcuni intellettuali e politici neoliberali cercarono di affiancarvi il diritto umano alla libertà di movimento dei capitali, al fine di contrastare il protezionismo, soprattutto nei paesi postcoloniali. La rappresentanza delle nazioni postcoloniali nelle Nazioni Uniti avrebbe portato a deviare da un diritto omogeneo dell’economia globale. Al contrario, mantenendo la norma del libero commercio e invitando a specializzarsi in settori a basso valore aggiunto, si voleva vietare il metodo con cui le nazioni forti del sistema-mondo erano diventate tali, ovvero grazie al meccanismo di protezione del capitale da parte dello stato – vero motore dell’accumulazione. Inoltre, lo stato e il protezionismo nei paesi più forti – ad esempio attraverso accordi bilaterali – non scomparirono mai, come protestarono molti stati postcoloniali. La globalizzazione neoliberale, pur venendo identificata con il libero mercato, è rimasta profondamente gerarchica e oligopolistica. “Il diritto di un paese egemone è il diritto di violare le regole”, scrive Slobodian. La richiesta di un accesso eguale alla concorrenza è stata così un vettore di adesione alla teoria neoliberale.

 Slobodian aiuta a ripensare una polarità condivisa da estrema destra, centro e parti della sinistra nazionalista: che la globalizzazione e il neoliberismo siano alternativi alla sovranità e allo stato. Il conflitto invece è sempre stato all’interno dello stato e delle istituzioni, con variazioni di autonomia dipendenti dalla posizione rispetto alla faglia coloniale, la linea del colore globale. Per molti neoliberali, democrazia e liberalismo non coincidono. Il neoliberismo non è quindi la scomparsa, la contrazione o la limitazione dello stato ma è piuttosto una riarticolazione del suo funzionamento ed è un modo di governo. La genesi del neoliberalismo andrebbe guardata assieme a quella del keynesismo, sostiene Slobodian, più che in contrasto. Pur nella divergenza di finalità, entrambi i movimenti nacquero dalla presa d’atto che il mercato non si autoregoli e che lo stato, le istituzioni e le condizioni non-economiche siano centrali nel suo funzionamento. Tra le condizioni extra-economiche vi sono la razza e l’identità nazionale che possono essere valorizzate come “capitale umano” o come fattori esplicativi – e naturalizzanti – dei differenziali di risorse, potere e capacità di autogoverno.

 Tuttavia, è importante registrare l’eterogeneità del neoliberismo, senza schiacciarlo su un modello uguale nello spazio e nel tempo o sul pensiero di singoli individui. Pertanto, se non sempre il neoliberalismo è autoritario, nazionalista e razzista, è altrettanto scorretto pensare ad una contrapposizione binaria tra cd. liberali e nazionalisti, quando, secondo Slobodian, di una lotta in famiglia si tratta.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 5 febbraio 2022.

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