di BEPPE CACCIA.

Incontriamo Katja Kipping, 39 anni e da cinque co-segretaria (con Berd Riexinger) del partito della Sinistra tedesca Die Linke, mentre si sta spostando da un volantinaggio mattutino di fronte all’Ufficio del Lavoro di Kreuzberg a Berlino, affollato di lavoratori e precari in regime di Hartz IV, a una serie di comizi e incontri a Dresda, suo collegio elettorale nel cuore della Sassonia, in vista del voto di domenica. In queste ultime ore di campagna uno dei punti caldi è lo scontro proprio tra la Sinistra e i “populisti di destra” di Alternative für Deutschland per la conquista del terzo miglior risultato”. Quale significato assume questa “competizione”?

È un’importante questione, simbolica e politica al tempo stesso: sapere se il terzo partito più forte nel prossimo Bundestag si concentrerà sui temi sociali e sulle questioni della giustizia e solidarietà o se, come la destra dell’AfD, farneticherà della “produzione di razze miste” o sarà “orgoglioso” della guerra di annientamento, condotta a suo tempo dalla Wehrmacht. Più di un candidato AfD definisce il Memoriale dell’Olocausto come “monumento della vergogna”. La Linke vuole impedire che un partito, in cui i nazisti hanno diritto di parola, possa diventare la più rilevante forza d’opposizione di fronte alla possibile riconferma della Große Koalition. La Linke è per questo consapevole, non solo delle colpe del passato tedesco, ma anche della sua attuale responsabilità europea.

In tutta Europa crescono le preoccupazioni per il possibile risultato dei cosiddetti “populisti di destra.” Qual è il tuo punto di vista su questo fenomeno? Quali le responsabilità per la loro crescita? Quali le possibili contromisure?

Il crescente populismo di destra e lo sciovinismo nazionalista sono l’espressione di una nuova divisione. Anche in Germania è qualcosa di più che una questione di vecchi o nuovi nazisti. Allo storico rapporto di classe tra ricchi e poveri si è aggiunto del nuovo: una crescente separazione spaziale. Da una parte chi è mobile ed è o può essere ovunque, e che potrebbe essere definito come “vincente” nella globalizzazione; e sono persone cosmopolite, che possono vivere in luoghi diversi, e certamente vivono ovunque. Dall’altra parte, ci sono tutti coloro che vivono nel No-where. Hanno il proprio lavoro, la loro identità, vivono, ad esempio, nelle aree rurali. E se ciò che un tempo avevano conosciuto come lavoro lascia il loro territorio – e per così dire emigra, essi restano indietro. Uno storico come Eric Hobsbawm ha affermato che le persone cominciano sempre a parlare d’identità, quando smettono di parlare di ciò che hanno in comune. Anche la vittoria elettorale di Donald Trump si basa su queste esperienze, economiche e culturali, della perdita. Il fatto che oggi questo seme cresca così bene, è un’eredità del neoliberismo. Il suo disprezzo per la democrazia sociale ha portato a un mondo senza legami, contro il quale interi settori della popolazione hanno iniziato a barricarsi. Questo non può assolutamente costituire una scusante per l’odio nei confronti di altri esseri umani. Ma la paura esistenziale del proprio declassamento, un clima sociale di costante concorrenza – tutto questo offre un terreno fertile per invocazioni razziste. Contro tutto ciò, solo un’offensiva sociale per tutti può aiutare. Solo quando tutti sono liberi dalla povertà, si può superare la paura dello straniero e l’angoscia per il futuro.

Fino a ora la situazione politica tedesca, la sua permanente capacità di “integrazione sistemica”, sembrava per tutta l’Europa “un bastione di stabilità”. Pensi che sia ancora così? Che cosa sta cambiando?

Anche in Germania stiamo sperimentando una spinta a destra. Il panorama politico tedesco è diventato più turbolento – si è in qualche modo “europeizzato”, dal momento che partiti populisti di destra o nazionalisti di estrema destra ora siedono in quasi tutti i parlamenti d’Europa. Molti osservatori in Germania sostengono che la crescita dell’AfD è un risultato della “grande coalizione” tra SPD e CDU. In un certo senso potrebbe essere vero, ma credo soprattutto che il populismo di destra sia figlio genuino dei decenni predatorii neoliberisti. Perché il neoliberismo non è solo fondato sui principi del mercato e della competizione a ogni costo, ma propaga anche un’ideologia di sfrenato individualismo e distrugge relazioni e legami sociali. Le persone non solo diventano povere, ma spesso si privano anche della capacità di un agire solidale. Tuttavia, il blocco egemonico attorno a Angela Merkel riesce a creare ancora vincoli sufficienti a rendere la Germania un paese stabile. Anche se gli squilibri sociali e l’impoverimento crescono rapidamente, Merkel continua a funzionare per molte persone come opzione razionale per il futuro, se paragonata a un Donald Trump, un Viktor Orban o a una Brexit.

All’inizio di quest’anno, leggendo i sondaggi e le dinamiche politiche, molti hanno pensato che sarebbe stato possibile un governo “rosso-verde-rosso” dopo le prossime elezioni. Perché la SPD, e la guida di Schulz in particolare, non si sono invece rivelati un’alternativa all’egemonia della Cancelliera?

Per la terza volta, dopo il 2009 e il 2013, la SPD non ha osato spingere per un cambiamento politico e ha quindi rinunciato a candidarsi al Cancellierato. L’ondata d’incoraggiamento, che Martin Schulz sembrava aver incontrato all’inizio dell’anno, non era solo per la sua persona, ma soprattutto per la possibilità di un’alternativa progressista al di là di Angela Merkel. Temo che, dopo domenica, questa speranza per una nuova SPD vada a finire in una profonda demoralizzazione. È quasi irrilevante quanto la SPD arrivi vicina al 20 per cento, dal momento che è la possibilità stessa che si facessero maggioranza ad appartenere al passato. Io stessa ho sempre fatto campagna per portare al potere una coalizione capace di mettere assieme “ciò che sta al centro con ciò che sta in basso” (Mitten-Unten-Bündnis), perché sono fermamente convinta che in Germania vi siano oggi maggioranze sociali per un cambiamento politico progressista. Ma la SPD, come i Verdi, hanno rifiutato di compiere questo passo apertamente e di provarci sul serio. E ora, ovviamente, è necessario che ci sia una Sinistra più forte per avviare un processo di ripensamento tra tutti i soggetti interessati.

Figure importanti della società civile, intellettuali e politici di tutta la sinistra hanno firmato dall’Italia un appello per sostenere il vostro Partito nel voto di domenica prossima. In che senso un risultato elettorale positivo per la Linke sarebbe cruciale per l’Europa?

È del tutto evidente come il potere europeo abbia la sua sede nella Berlino politica. Lo abbiamo visto nella crisi greca, ad esempio. Se la Linke avrà successo in queste elezioni, sarà un segnale incoraggiante anche per l’idea di un’Europa sociale e democratica. La crescita dei populismi di destra non può essere contrastata solo sul piano nazionale, ma abbiamo bisogno di una comune sinistra transnazionale in Europa, che sia più ampia dell’alleanza dei soli partiti della sinistra europea. E solo quando pensiamo in chiave europea, possiamo affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Penso non solo al movimento delle migrazioni, ma anche alla crisi climatica o all’ingiustizia globale. A volte sembra che il rifugiato, come Brecht scrisse una volta, sia solo “un messaggero di sventura.” I rifugiati ci ricordano le nostre vulnerabilità e ci avvertono che anche il nostro piccolo mondo qui non è più in ordine. L’idea europea è sull’orlo del precipizio e noi dobbiamo lottare, anche all’interno del campo progressista, per non tornare alle prigioni nazionali della storia.

Per concludere: che scenari strategici immagina dopo il 24 settembre?

Dipende dal risultato. La questione se i populisti di destra o la Linke diventeranno la terza forza politica del paese deciderà anche se saranno il razzismo o la giustizia il contrappeso di un nuovo governo Merkel. Temo che per la socialdemocrazia tedesca possa chiudersi presto una finestra storica. Perché se la SPD entra di nuovo in una grande coalizione, essa prima o poi si pasokizzerà. I Verdi, d’altra parte, se partecipassero a una coalizione con la CDU o anche con i Liberaldemocratici, dovrebbero rinunciare al loro patrimonio storico di battaglie per i diritti civili e l’ambiente. Se si realizzasse un’alleanza nero-gialla (CDU-FDP), vi sarebbe il rischio del ritorno a un puro neoliberismo. La FDP, ad esempio, rifiuta qualsiasi intervento, anche il più morbido, su un mercato immobiliare in esplosione e introduce per le politiche monetarie nell’Eurozona posizioni molto vicine a quelle dell’AfD.

Quale ruolo per la Linke, dunque?

Il nostro compito, come Sinistra dopo il voto, sarà triplice. In primo luogo, rimaniamo l’unica forza credibile per la giustizia sociale dentro al Parlamento. In secondo luogo, saremo allo stesso tempo una voce altrettanto chiara contro il razzismo e i nazisti dell’AfD. Ma abbiamo un terzo compito: la Linke deve iniziare a costruire uno spazio sociale per maggioranze di sinistra che vadano oltre il blocco conservatore e di destra. So che nel paese vi è un sentire progressista, che non si riflette nelle politiche dei Verdi e dell’SPD, ma talvolta neppure in quelle della Linke. Per una nuova alleanza Mitten-Unten non è più sufficiente criticare gli avversari politici o il presunto riformismo di eventuali partner. Il tempo di questo lamento da vecchia sinistra è scaduto. Abbiamo invece bisogno di uno stile politico che stimoli una partecipazione sociale pluralistica e indichi che vi sono più opportunità che rischi in un partito che sia socialmente e culturalmente diversificato. Abbiamo bisogno di un Sinistra combattiva che, con il suo messaggio sociale, raggiunga tutti quelli che nella nostra società si sentono estranei alla situazione politica predominante; abbiamo bisogno di un Sinistra in comune, che sia schierata in qualsiasi momento e ovunque per l’uguaglianza di tutti e la libertà di ciascuno. Non c’è infatti giustizia sociale senza solidarietà e non esiste una vera libertà senza l’eguaglianza di tutti nella loro diversità.

Versione integrale dell’intervista pubblicata sabato 23 settembre da il manifesto. Si ringrazia Martin Glasenapp per la collaborazione.

Download this article as an e-book