Di GIROLAMO DE MICHELE

Pandemia capitale. Postapocalittici & disintegrati di Leonardo Clausi e Serafino Murri (manifestolibri, pp. 304, euro 25) è una jam session scritta nei mesi del lockdown: giorni in cui letterati mainstream riscoprivano il valore delle mura domestiche e dei legami familiari, mentre l’Italian Theory naufragava nell’inconsistenza dei propri fondamenti, fra chi si creava una genealogia riscoprendo l’idealismo ottocentesco (passando da Speranza a Spaventa) e chi, spremendo il limone della tanatopolitica, si dedicava al ghostwriting di cabarettisti come Enrico Montesano e Bianca Bonavita.

C’ERANO, è vero, eccezioni che cercavano di pensare il «virus sovrano»: fra queste eccezionalità va collocato questo abbozzo di analisi critica dell’economia globale, operato con un metodo che, incrociando Rancière, Benjamin e Mark Fisher, cerca di sottrarre i particolari che emergono a prima vista al minimalismo dello storytelling, per ritrovare la chiave della composizione del quadro d’insieme. Perché se il Capitale è invisibile, sono visibili i suoi effetti e i loro segni di classe. Il virus – della cui realtà gli autori a giusta ragione non dubitano – diventa allora un cannocchiale attraverso cui leggere non gli effetti (comunque classisti) della pandemia, ma i segni del Capitale che si sono manifestati come pandemia perché a essa preesistenti: con una bella immagine, il virus agisce come una coperta gettata sull’uomo invisibile, cioè sul Capitale globale e globalizzante che ha unificato il pianeta.

Il libro paga il pegno della distanza fra la sua conclusione e la pubblicazione: ma il valore del metodo spinge a prolungare il volume oltre i suoi limiti, e a valorizzarne il disegno generale. Che non si limita a ripercorrere i processi di globalizzazione che hanno reso possibile la pandemia, ma colloca questi su uno sfondo ancor più ampio e profondo, dominato dalla constatazione di trovarci, senza averne consapevolezza, nell’Antropocene, del quale viene data una lettura tanto realistica quanto pessimistica che riprende la ricerca marxiana dei limiti del Capitale – che, nell’epoca in cui il Capitale si fa globo, segnano il passaggio dal ciclo merce-denaro-merce a quello merce-denaro-morte.

PERCHÉ, COME SCRIVEVA il Moro di Treviri, la produzione capitalistica sviluppa il processo di produzione sociale «solo minando al tempo stesso le fonti primigenie di ogni ricchezza: la terra e il lavoratore». Spazzata via la molle ideologia italiana, decostruito il carattere virale della comunicazione nell’epoca della post-verità, ovvero della «verità del post» come istituzione dell’interpretazione e forma della verità collettiva in cui la sola cosa che conta è l’intenzione, quel che resta – per leggere la tabula rasa sociale che il virus ha potuto determinare perché i legami sociali erano già stati azzerati dai processi di messa a valore della vita – è un esplicito ritorno a Marx, che può e deve dialogare, attraverso la tradizione (post) operaista, con i Fisher e i Rancière. Una linea di pensiero che secondo gli autori non giunge a una necessaria radicalità, perché ancora inglobata all’interno della totalità monistica del Capitale.

QUI VANNO però sollevate due obiezioni. La prima: gli autori considerano il capitalismo delle piattaforme come parte di un Capitale che non sembra conoscere conflitti interni. A questa lettura si può contrapporre l’assalto dei nuovi barbari delle piattaforme a un capitale produttivo che, impossibilitato a fare a meno di quelle logistiche, chiede soccorso allo Stato, che si ripropone non come nuovo Leviatano (con l’eccezione cinese), ma come regista di un welfare capitalistico.

DA QUI, la seconda obiezione: una diversa lettura del Capitale comporta una diversa lettura dei processi di assoggettamento, ma anche di soggettivazione (come insegna la coppia Thompson-Foucault), e delle conseguenti soggettività. Murri e Clausi considerano l’attuale forza lavoro come zombificata, ricadendo nel paradosso di Chalmers, che obietta a chi fa derivare la coscienza da meri processi materiali del cervello l’indistinguibilità fra l’umano e lo zombie: in assenza di processi di soggettivazione come spiegare gli antagonismi nel «lavoro zombie»? Una discussione che non è fine a se stessa, ma risponde all’interrogativo col quale si chiude il libro: «Che fare?».

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 3 agosto 2021.

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