Pubblichiamo qui un estratto dell’introduzione al terzo volume del corso di Gilles Deleuze su Michel Foucault, (Gilles Deleuze, La soggettivazione. Corso su Michel Foucault (1985-1986) / 3, traduzione di Carlotta De Michele, introduzione di Girolamo De Michele, ombre corte, Verona 2020, pp. 200, € 18)

Di GIROLAMO DE MICHELE.

In un’importante pagina di Surveiller et punir, Foucault condensa in poche righe un gran numero di questioni:

La nostra società non è quella dello spettacolo, ma della sorveglianza; sotto la superficie delle immagini, si investono i corpi in profondità; dietro l’astrazione dello scambio, si persegue l’addestramento minuzioso e concreto delle forze utili; i circuiti della comunicazione sono i supporti di un cumulo e centralizzazione del potere; i giochi dei segni definiscono i dispositivi che fissano al suolo le strutture del potere; la bella totalità dell’individuo non è amputata, repressa, alterata dal nostro ordine sociale, ma l’individuo vi è accuratamente fabbricato, secondo tutta una tattica di forze e di corpi. Noi siamo assai meno greci di quanto non crediamo [Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, trad. it. di A. Tarchetti, Einaudi, Torino1976, p. 236. Segnalo che la frase «i giochi dei segni definiscono i dispositivi che fissano al suolo le strutture del potere» è omessa dalla traduzione italiana].

Ciò che qui rileva, è quel “noi siamo meno greci di quanto non crediamo”, che preannuncia le ricerche a venire – ma in effetti già in corso – sul pastoralato e sulle tecniche e o processi di soggettivazione [La stessa affermazione riecheggia in Du gouvernement des vivants. Cours au Collège de France, 1979-1980, Gallimard-Seuil, Paris 2012, p. 231: “La subjectivation de l’homme occidental, elle est chrétienne, elle n’est pas gréco-romaine” (lezione del 12 marzo)]. Si tratta di sviluppi che Deleuze ha seguito attraverso la lente dei testi sparsi pubblicati negli anni del cosiddetto “silenzio di Foucault”. Nondimeno, lo sviluppo del concetto di piegatura – il suo agencement con quello di soggettivazione – ha permesso a Deleuze di esprimerne gli aspetti essenziali. In particolare, ciò che Deleuze ha compreso è che non si tratta di un processo univoco, ma di una pluralità di processi afferenti a una pluralità di tecniche, suscettibili di produrre tanto un dépli delle forze del fuori in un’interiorità resistente – la linea di ricerca che porta all’affermazione del “coraggio della verità” come peculiare forma di cura di sé; quanto un répli del dedans sul potere pastorale, attraverso quelle tecniche di soggettivazione che Foucault studia attraverso la confessione. Non è un caso che, oltre a essere il titolo dei corsi finali, Le gouvernment des vivants doveva essere il titolo del libro a venire nel quale dovevano confluire le ricerche degli ultimi anni, forse in vista di una riformulazione del progetto iniziale.

È ciò che Deleuze ci dice, all’interno del proprio linguaggio, nella ventunesima lezione, dove, saldati i conti con Heidegger, si avvia alla sintesi conclusiva del terzo asse di ricerca:

Pertanto, a questo livello si potrebbe benissimo dire che comunque, in tutte le formazioni, in ogni epoche, il pensiero ha sempre significato piegare. Solo che la piega attraversava luoghi diversi, era articolata in modi diversi. […] E cosa saranno i diversi modi di piegamento? Saranno modi di soggettivazione. […] Se riassumo il tutto, la linea del fuori si piega per formare un interno più profondo di qualunque altro mondo interno; piegandosi, costituisce l’impensato nel pensiero; piegandosi, produce soggettività; e produce soggettività come un doppio, doppio del fuori perché è la piega del fuori [Lezione del 29 aprile 1986, infra, p. 59].

Che cosa sia una produzione di soggettività, Foucault lo spiega in una splendida intervista nella qual emette in questione il proprio essere omosessuale. L’omosessualità non va ricondotta (duplicando l’inquisizione impudica del moralista) al problema del “Chi sono io? Qual è il segreto del mio desiderio?”; meglio sarebbe chiedersi quali relazioni possono, attraverso l’omosessualità, essere istituite, inventate, moltiplicate, modulate: «il problema non è scoprire dentro di sé la verità del proprio sesso, ma piuttosto fare ormai uso della propria sessualità per arrivare a relazioni molteplici» [Sull’amicizia come modo di vita (1981), in Michel Foucault, Discipline, poteri, verità. Detti e scritti 1970-1984, a cura di Mauro Bertani e Valeria Zini, Marietti, Genova-Milano 2008, p. 158].

La produzione di soggettività come pli du dehors traspare in filigrana nei primi passi della conferenza Le sujet et le pouvoir, uno dei testi di Foucault su cui Deleuze ha lavorato con più intensità.

Questo movimento sembra altresì evidente in L’écriture de soi, a proposito della pratica degli hupomnêmata, nella quale

Si tratta di costituire se stessi come soggetto di azione razionale, attraverso l’appropriazione, la sintesi e la soggettivazione di un già detto frammentato e scelto […]. Nel caso del racconto epistolare di sé, si tratta di far coincidere lo sguardo dell’altro con il proprio, quando si misurano le proprie azioni quotidiane alle regole di una tecnica di vita [La scrittura di sé (1983), in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, cit., p. 216].

E ancora, nella narrazione autobiografica della voce Foucault:

La questione consiste nel determinare ciò che deve essere il soggetto, a quali condizioni è sottomesso, quale statuto deve avere, quale posizione deve occupare nel reale o nell’immaginario, per divenire soggetto legittimo di questo o di quel tipo di conoscenza; si tratta, insomma, di determinare il suo modo di “soggettivazione”. […] Ma la questione consiste anche, e nel stesso tempo, nel determinare a quali condizioni qualcosa può diventare oggetto di una conoscenza possibile […]. Questa oggettivazione e questa soggettivazione non sono indipendenti l’una dall’altra; è dal loro vicendevole sviluppo e dal loro legame reciproco che nascono quelli che potrebbero essere definiti “giochi di verità”: cioè, non la scoperta di cose vere, ma le regole in base a cui quello che un soggetto può dire a proposito di certe cose rientra nella questione del vero e del falso.

Questi giochi di verità, queste produzioni di veridizione, sono il prodotto delle reazioni fra i tre assi, ovvero fra sapere, potere e processi di soggettivazione:

I Greci sono stati i primi a costituire il soggetto, a costituire l’interno dell’esterno, a costituire il soggetto secondo la regola facoltativa dell’uomo libero: governare se stessi, produrre affezioni su se stessi, l’auto-affezione o l’affezione di sé attraverso la propria azione. Questo è quello che hanno fatto i greci. Ma una volta che lo hanno fatto, in primo luogo il potere non cessa di voler riconquistare, di voler catturare questa soggettività o questa operazione di soggettivazione e di utilizzarla. Cioè, vuole assoggettare la soggettivazione. E il sapere, da parte sua, vuole investire questa nuova forma, la forma del soggetto. La soggettivazione cesserà di essere l’operazione dell’uomo libero secondo la regola facoltativa che rende l’esistenza estetica, per passare nel regno delle leggi coercitive del potere o per entrare nelle forme del sapere. La soggettivazione sarà recuperata dal potere e dal sapere [Lezione del 13 maggio 1986, infra, pp. 124-125].

All’interno di questo diagramma di forze, le ricerche dell’ultimo Foucault su stoicismo e cinismo si ricongiungono con quelle esposte nell’Histoire de la sexualité, dove era già evidente come ogni morale sia la risultante di un gioco di forze: «se infatti ogni morale comporta dei codici di condotta e delle forme di soggettivazione, bisogna anche ammettere che, in alcune morali, l’accento è posto soprattutto sul codice, sulla sua sistematicità, la sua ricchezza, la sua capacità di adeguarsi a tutti i casi possibili e comprendere tutti i campi d’azione». In queste istanze d’autorità l’essenza della soggettivazione si esprime «in una forma quasi giuridica, in cui il soggetto morale si riferisce a una legge, o a un insieme di leggi, cui deve sottomettersi se non vuole incorrere in colpe che lo espongono a un castigo» [Michel Foucault, L’uso dei piaceri. Storia della sessualità 2, trad. it. di L. Guarino, Feltrinelli, Milano 1991, p. 34].

Di conseguenza, si tratta di vedere come «dal pensiero greco classico fino alla costituzione della dottrina e della pastorale cristiana della carne, questa soggettivazione si sia definita e trasformata» [Ivi, p. 36].

Questa piegatura è già evidente nelle pagine dell’ur-introduzione a L’usage du plaisirs dedicate al rapporto fra scrittura e sé in Seneca:

La scrittura ha il compito di ricondurre a unità quanto si è raccolto con la lettura, (quicquid lectione collectum est, stilus redigat in corpus). E bisogna comprendere questo corpo non come un corpo dottrinario, ma, seguendo la metafora della digestione così spesso evocata, come il corpo stesso di colui che, trascrivendo le sue letture, ne ne è appropriato e ha fatto sua la loro verità: la scrittura trasforma la cosa vista o ascoltate in “sangue e energie fisiche” (in vires, in sanguinem). Essa diventa, nello scrittore, un principio di azione razionale.

Questi accenni alle trasformazioni delle forme di soggettività e delle pratiche aleturgiche di sé si concretizzano, nelle analisi dei Corsi, in una differenziazione – con la terminologia deleuziana: in una diversa piegatura – fra i processi di soggettivazione sottomessi all’autorità pastorale, e la soggettivazione aleturgica che, ripiegandosi sul sé (invece che dispiegarsi sul dehors dell’autorità e di un processo infinito di approssimazione alla verità), produce il soggetto che fa dell’enunciazione della verità non solo uno stile di vita, ma l’affermazione di una relazione antagonista verso il potere: in definitiva, uno stile di resistenza. È in quest’ottica che Deleuze può scrivere, cogliendo con grande profondità il senso della ricerca di Foucault sul mondo greco:

La lotta per una soggettività moderna passa attraverso la resistenza alle due forme attuali di assoggettamento, l’una che consiste nell’individuarci in base alle esigenze del potere, l’altra che consiste nel fissare ogni individuo a una identità saputa e conosciuta, determinata una volta per tutte. La lotta per la soggettività si manifesta allora come diritto alla differenza, e come diritto alla variazione, alla metamorfosi [Gilles Deleuze, Foucault, trad. it. di F. Sossi e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 1987, p. 113].

Con una segreta sintonia, risuonano in queste parole quelle dell’ultimo appunto scritto da Foucault per la sua ultima lezione: «non vi è instaurazione della verità senza una posizione essenziale dell’alterità; la verità non è mai il medesimo; non può esserci verità che nella forma dell’altro mondo e della vita altra» [Foucault, Il coraggio della verità, p. 321].

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